critica

  • padova 2017

    Paolo Coltro

    C’è una fotografia di Aldo Pallaro che abbraccia un faggio secolare, come fosse una persona, la guancia appoggiata alla corteccia, un emblematico gesto d'amore. E' il sentimento assoluto che lo lega agli alberi, esseri viventi riconosciuti di pari dignità, e alla loro materia, il legno senza il quale l'uomo non sarebbe stato homo faber.
    Il balzo concettuale di Pallaro è stato quello di andare oltre la necessità e l'utilità, oltre l'arte usuale (il crocefisso, le madonne, gli intagli dei cori) e di rendere il legno protagonista di sé medesimo, non solo materia da usare. Lo scultore ha iniziato il suo lungo viaggio tra tronchi, venature, anelli dell'età nel 1993 e continua oggi scoprendo nuovi paesaggi, frontiere, disvelando segreti, portando alla luce l'evoluzione che gli alberi da soli non possono avere. La forma nascosta del legno coincide in ogni opera con quella del pensiero, in uno stupore che lega materia, immaginazione, visione. Semplicemente, ciò che lo scultore ricava e inventa non sembra possibile, e invece è lì davanti agli occhi, davanti alle mani che possono toccare un tronco diventato essenza di idea. Con Pallaro, il legno è infinito: diventa cattedrale gotica, spirale, farfalla, foresta, conchiglia, fiore, geometria, intrigo intellettuale, perfino sesso. Ma restando legno, senza prendere altre sembianze. La tecnica sopraffina, una ricerca certosina che vola molto più in alto dell'arte applicata, fanno entrare in gioco la luce e lo spazio. Le ombre disegnano interiorità cangianti nel corpo stesso della scultura – e l'ombra non è mai entrata nei tronchi in natura – per una vita diversa da quella immobile dei boschi. Il rispetto dello scultore segue le venature, le isola, le fa vivere fino ad articolarsi in movimento: è il miracolo di Pallaro, dare al legno il movimento, un dinamismo che la natura non ha previsto a questo livello. L'arte di Pallaro è natura indagata, senso della creazione primordiale, voglia di osmosi fisica con la materia, inno ad un'essenza superiore.
    Le sue sculture sono il talamo in cui legno e uomo mischiamo il loro essere.

  • Salzano 2013

    Lidia Mazzetto
    Oltre alla materia le sculture di Aldo Pallaro portano un forte contatto con gli elementi primordiali della vita, in particolare l’aria, la luce, la terra cui direttamente è legata l’acqua. Mi soffermo su questa premessa perché è indispensabile capire il rapporto che l’artista instaura con loro nella realizzazione delle sue opere. La ricerca della vita, della creazione, dello sviluppo e della fine, sono un continuo evolversi e interpretano anche le infinite richieste che fa a se stesso nel momento in cui vuole trovare una risposta interiore e comunicarla.
    Se è vero, come dice lui stesso, che un tronco rappresenta un libro aperto in cui si possono leggere gli anni buoni e, quelli difficili, se i nodi che segnano le difficoltà e gli ostacoli, tracciano la corsa della vita, nell’evoluzione del tema pone la sua visione umana.
    Una ricerca di speranza attraverso la luce, che fino in fondo segue il percorso, che diventa apertura verso l’infinito, l’andare oltre i limiti. Poi la tensione delle corde usate per sorreggere e legare gli elementi, lascia vibrare il suono al pizzico dell’aria come un eco che si perde nel nulla. Ma è anche nel vento, che spinge le sensazioni, i pensieri, i ricordi, che volano, i ripensamenti, i silenzi, nell’armonia degli accordi musicali. L’“Ouverture” della natura legge l’interno dell’albero, le linee del tempo e della storia: Una robinia si lascia sfogliare da un dito, la sua grandezza ci fa pensare ai suoi doni, all’ombra, alla vita, ma anche di fronte alla fine l’”Albero Celeste” cattura la luce, la riflette per continuare a vivere.
    Poi le forme: nelle quali le pieghe sinuose, si stendono in elementi arcuati, tondeggianti e ripetuti come nel mantice di una fisarmonica o nelle corde dell’arpa, o quelle slanciate, appuntite che tagliano il cielo, libere nello spazio e nell’aria, ma anche quello stile di racchiudere nelle cortecce i suoi messaggi sono un mondo tutto interiore. Ad esempio nell’autoritratto, che a prima vista assomiglia a un globo,  appena lo apri scopri “Lui” l’artista, e quando lo guardi,  vedi te stesso riflesso  nello sfondo, quasi un’interazione che porta a guardare dentro e a misurarsi in un confronto ideologico.
    Le cortecce fanno parte di un’essenza: tagliate e incise nelle strutture più corpose si modellano nelle rotondità e nell’elemento plastico della scultura; le “scorze” arrotolate su loro stesse in un movimento istintivo, lasciano spazio all’abbandono, testimoni di un relitto, di una fine: pergamene che dentro la pelle custodiscono i segreti dell’albero e non li aprono più. Solo lo scultore riesce a dare loro quelle forme che sono spesso un richiamo alla vita, all’albero stesso dal quale hanno origine.
    Anche l’elemento sacro viene riproposto in una dimensione umana, pur rispettando certi elementi della tradizione come nella “Croce” o nella visione della “Madonna”. Nel primo la curvatura della croce viene sottolineata dal drappo spinto dalla forza del vento, quasi voglia sfuggire alla consuetudine di un giudizio umano che vede nel sacrificio di Cristo il debito pagato nei confronti dell’umanità. La curva della croce segue quella forza che spesso allontana dalla giusta via lasciando solo uno straccio a sventolare, testimone di ciò che è avvenuto.
    L’interpretazione di Maria raccoglie in sé molti messaggi, sottolineati dalla delicatezza dei colori che determinano la figura: una serie di sfumature più marcate all’esterno dove le pieghe sono più ondeggiate delimitano la figura, poi sono sempre più chiare nel contorno del ventre che ha generato, segue il vuoto segnato dalla Croce che segna il sacrificio di Gesù ma soprattutto il dolore della Madre, in fine c’è il candore del volto, incorniciato dalla luce, dove le sembianze si dilatano in una visione che non ha bisogno di essere determinata perché è lei stessa fonte di energia e di chiarore. La figura si sviluppa in un traslato regolato non tanto da necessità formali quanto e maggiormente da emozioni provocate dal soggetto e dalla visione che si lega ad esso.
    Nella mostra la realtà resta comunque la fonte principale che ispira Pallaro, trattata dal punto di vista estetico, a volte con chiari connotati che vanno verso l’astratto. La sintesi diventa coinvolgimento, fantasia, emozione, all’interno dell’immagine stessa: senso della vita, tensione interiore, valore sociale.                                                                                                                                                             
  • 1° Premio Simposio di Castello Tesino 2012

    motivazione critica dell'opera "un angelo! aiuto!"
    Aldo Pallaro, in una scultura di ammirabile raffinatezza, utilizzando magistralmente il gioco delle luci e delle ombre del legno, ci regala un'opera astratta dalla forte valenza simbolica e archetipica. la giuria
  • Belluno 2012

    Telebelluno - Amico del popolo - Il Gazzettino - Corriere delle Alpi
    Il Premio Stampa Belluno 2012 va ad Aldo Pallaro per l'opera "virtuosa natura" Motivazione: Più che scolpita e incavata nel legno quella di Pallaro è un'opera che fiorisce dal tronco e crea l'illusione di essere in un bosco dove nascono queste fluorescenze. E' un aspetto dell'arte che ci è sembrato di dover sottolineare: la capacità di portare altrove chi la guarda.

    Alessia Forzin - Corriere delle Alpi
    "È la natura, è il passare del tempo, è anche la vita: qualcuno muore, qualcun altro nasce", spiega Pallaro. È il mondo che si trasforma con il tempo, ma in chiave positiva perché va avanti, mutando.

    Alessia Trentin - Il Gazzettino
    Davanti all'Astor si trova Aldo Pallaro, di Piombino Dese (PD), con la sua scultura che fonde armonia e concettualità: "dalle marcescenze della natura nascono forme bellissime, io non riesco ad eguagliarle, posso solo imitarle nei miei lavori".
  • Castello Tesino 2007

    Renzo Francescotti
    Aldo Pallaro, vincitore del terzo premio al Simposio di scultura nel legno del Tesino nasce, vive e opera a Piombino Dese, in provincia di Padova. Diplomato all’Istituto d’Arte “Pietro Selvatico” di Padova, ha anche frequentato il corso di scenografia tenuto dal prof. Soccol all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
    Ha lavorato come designer nel settore illuminazione – arredamento e si è occupato del settore poligrafico del Centro Stampa Quotidiani di Padova. Non è quindi la professionalità a fargli difetto. Dal 1999 ha partecipato a personali e collettive, concorsi e rassegne in Veneto e Trentino. Sue opere sono in proprietà pubbliche e private. Nella sua produzione scultorea in legno, ricca di quasi un centinaio di opere catalogate in Cd mi ha sorpreso ed emozionato l’immagine della sua opera “Qui mi sono ritrovato”: un imponente impianto scolpito in legno d’abete, alto due metri e largo due metri e sessanta: raffigura un tavolo con due sedie accostate assieme a una straordinaria varietà di oggetti (piatti, caraffa e bicchieri sul piano del tavolo; un libro, un cappello, un paio di occhiali su una sedia; un paio di zoccoli un pallone ecc. sul pavimento). Per dare l’idea delle proporzioni in scala lo stesso Aldo si è fatto fotografare su una delle due sedie, libera da oggetti: appare affetto da spaesamento, piccolo, stranito, ridicolo…Abitare all’interno di una scultura, meglio se la “tua” scultura, risulta straordinario: è probabilmente il modo più viscerale di “ingoiarla” di metabolizzarla. Lasciarsi “ridicolizzare”da una scultura, dalla tua scultura è una manifestazione estrema di affetto, di intelligenza, di autoironia... Pallaro ha riscolpito in legno di cedro una scultura simile a quella premiata (in pino cembro) nel Simposio del Tesino: Ri-flessione in cedro. È un’opera di straordinaria linearità: un tronco che conserva la corteccia, divaricato in alto fino a suggerire l’idea di un vegetale, di un fiore. Le altre quattro opere in esposizione hanno un unico titolo: Le magnolie di Cristina, compongono un unico ciclo. Lo stesso artista ci confida di aver ricevuto in dono da una donna due magnolie abbattute: la donna, cresciuta con loro, custodisce il ricordo di una storia comune, vorrebbe in qualche modo fermarne la loro vita, la loro compresenza. Sono cinque opere dalla forma conica in cui si presentano aperture triangolari, a griglia, grottiformi: sculture che hanno bisogno di tagli di luce particolari che possano raggiungere gli spazi interni, spiarne l’intimità e il mistero. Se la scultura, per sua natura, è vocata a esplorare le forme esterne, Aldo Pallaro, con coraggio, sensibilità, originalità, tenta invece di penetrare gli enigmi dell’interno.
  • Castelfranco Veneto 2007

    Gabriella Niero
    Oltre la pelle
    Riusciamo a vedere realmente noi stessi? Come siamo fatti al nostro interno? E' difficile dirlo. Abbiamo perso l'abitudine di guardarci nel più profondo. Eppure l'epidermide è un involucro delicato, fragile, talvolta trasparente. Su di sé porta le tracce del nostro vissuto, della nostra esperienza, si imprime di emozioni, di sofferenze, di gioie. La nostra pelle è come la corteccia di un albero, segnata dal tempo, dalle stagioni, dai venti gelidi, dal calore del sole.
    Aldo Pallaro è uno scultore del legno che ci guida in questa introspezione, che da fisiologica si fa psichica.
    Ha sempre avuto fin nei suoi primi lavori l'attenzione scrupolosa di fissare lo sguardo al di là del velo, ovvero al di là della materia, oltre l'epitelio sensibile.
    Scelto il pezzo adatto a rivelare il segreto, l'immediata scoperta.
    Sotto pulsa il sangue, scattano le nervature, affiorano espansioni, dilatazioni, con toni e forme che nascono dal di dentro. Ed ecco sgorgare strutture antropomorfe, suggestivo il Pruno torto, efflorescenze come grandi funghi, arcaiche e misteriose stele ovvero le Geometrie del silenzio, cortecce dalle curiose torsioni, silenti lastre istoriate dal tempo sulle quali si dipanano segni codificati, simboli, arabeschi, coniati solo dalla natura.
    Presenze che hanno viaggiato nel tempo e nello spazio per giungere sino a noi e recarci antichi messaggi. Ed è questa l'esperienza straordinaria che Aldo Pallaro vuole catturare, assimilando le arcane seduzioni dell'arte primitiva, integrando alcuni estri del Concettuale, non privandosi poi del profumo di una nuova classicità .
    Passeggiare nella natura, "vivere" il bosco e poi scolpire il legno, mostrare le viscere di un tronco secolare è come compiere un viaggio attraverso l'esistenza dell'uomo. Ad un certo momento si perde la percezione della pura materia: la scultura ci fa veleggiare lontano, in posti lontani e quasi non ci accorgiamo che si tratta di spazi che in fondo non ci sono estranei, ma nascono all'interno di noi.
    Da qui si ricava il succo della poetica di Pallaro: la sua è un'esplorazione nelle pieghe dell'uomo, un'introspezione di "quel che c'è sotto", la ricerca continua dell'identità umana. E' un'avventura affascinante soprattutto perché a guidarci è un artista sensitivo, che agisce in sintonia con la storia e con le pulsioni del futuro.
    Dentro la pelle-corteccia c'è la coscienza e la conoscenza.
    Le sue "creature" evocano sentimenti ed emozioni forti appartenenti a un mondo sospeso tra l'immaginario ed il reale, frammenti che assumono contemporaneamente consistenza o leggerezza.
  • 2006 Edizioni d'Arte Ghelfi - Verona

    Tratto da: ARTE TRIVENETA - dal barocco alle ultime ricerche del duemila
    di Ottorino Stefani

    Lo scultore Aldo Pallaro, all’età di tredici anni , osservava con affettuosa partecipazione, emotiva e visiva, il padre contadino che, sovente, lavorava il legno per costruire rastrelli, cestelli, manici di scopa e vanghe “rustiche”, oppure manici di lucenti falci lavorati con bravura artigianale, con qualche “capriccio” decorativo scavato sul legno chiaro ombreggiato da qualche venatura rosata.
    Le opere di Pallaro, da quel periodo in poi, si sono identificate, con grande anticipo sull’Arte povera, in un rapporto viscerale con gli strumenti della “cultura della miseria” (come l’ha chiamata Longanesi): una cultura autentica, fatta di fatiche e di duro, diuturno lavoro, per seminare e far crescere il granoturco, il frumento, l’erba “medica”, talvolta distrutti dalla tempesta.
    Anche la cultura di Pallaro, sul piano umano e spirituale, è improntata secondo gli ideali fondamentali del cristiano che sente la parola evangelica come sostanza originaria del destino umano. Non a caso verso l’età di diciassette-diciotto anni affronta il tema del volto di Cristo sofferente. Da questo primo approccio realista-espressionista, verso gli inizi degli anni Novanta, Pallaro si accosta a temi piuttosto impegnativi come L’arca di Noè, La coppia, Madre e figlio, risolvendoli nell’ambito di una forte spinta verso il Simbolismo e il Surrealismo, fino ad arrivare ad un impegno ecologico con Ceppi moderni.
    Un’opera realizzata con un ceppo “vero” che ingloba, comprime ed uccide bottiglie, lattine di plastica e preservativi.
    Un legno lavorato da una straordinaria sensibilità neobarocca o, se vogliamo, postmoderna in quanto lo spirito creativo dello scultore richiama i “fantasmi” delle grandi avanguardie storiche con un sentimento di alto valore morale ed esistenziale.
    Un sentimento che, nell’Albero dell’Amore, diventa esaltazione antropomorfica dell’Eros in chiave tipicamente veneta nel raffigurare seducenti nudi femminili emergenti dal fusto dell’albero come eterno richiamo al vitalismo segreto della natura.
    Siamo giunti, così, alle soglie del Duemila che segna certamente una delle tappe più significative dell’arte di Aldo Pallaro.
    Nell’opera in legno dal significativo titolo, Qui mi sono ritrovato, lo scultore crea un gigantesco tavolo imbandito completato dal “corredo” rustico di due sedie e di oggetti vari posati sul pavimento (un pallone da pallavolo, zoccoli, una bottiglia,fogli) e su di una sedia: un berretto a visiera e un foglio inciso con un disegno infantile del nipote.
    Un’opera che è nel contempo una provocazione contro la freddezza ideologica della Pop art e, soprattutto, una risposta poetica a tanta inutile produzione dell’Arte povera triveneta.
    Il lavoro completato dalla presenza dell’“artista bambino” seduto sulla grande sedia è un chiaro recupero del mondo dell’infanzia in quanto l’ingrandimento degli oggetti appare come la raffigurazione visiva di un sogno di un artista che è nato nel suo “nido” pascoliano e vede, a distanza di tempo, gli oggetti amati come ricordo di una vita familiare umile e quasi priva di beni materiali, ma ricca di autentici messaggi esistenziali.
    Messaggi che Pallaro ribadisce nel 2005 con un’opera tra le più coinvolgenti e ispirate della scultura padovana contemporanea. Si tratta di una grande croce realizzata con due robuste assi di legno. Una croce incurvata nell’asse verticale come se fosse stata investita da un furioso vento, reso del resto “visibile” anche da un drappo (forse un lembo che copriva il corpo del Cristo) attorcigliato nell’incrocio con l’asse orizzontale del simbolo cristiano che ha segnato per sempre la comunità dei fedeli.
  • Piombino Dese 2006

    Valentina Fracalanza
    Aldo Pallaro presenta una unica scultura, potente sintesi di un lungo e complesso percorso che viaggia su due dimensioni, solo in apparenza separate: quella fisica e quella intellettuale.
    Queste due dimensioni trovano il loro punto di incontro nella materia stessa del legno.
    Nella scultura esposta, amami ancora..., forme biomorfiche e forme geometriche – forme naturali e forme matematiche – si scontrano in modo drammatico, diventando quasi metafora della vita.
    Una forma articolata e contorta, simile ad un organismo, diventa simbolo del corpo, di tutti i corpi: un corpo messo a nudo, privato del sostegno dello scheletro e del suo rivestimento cutaneo, che rivela il suo "interno".
    Una sorta di pesante cuneo incombe, incide, taglia, penetra questo "corpo – materia".
    Attraverso questo scontro la scultura ci mostra un evento fortissimo, che sembra essere senza fine. Il "corpo" è lì, il cuneo non si sposta, non c’è sollievo e il dolore sembra perpetuarsi.
    Ma al tempo stesso questo evento viene sublimato nel virtuosismo con cui è trattata la forma organica, che presenta due sinuose "ali taglienti", elementi di collegamento formale e spaziale con il cuneo soprastante.
    Mediante il controllo della materia e il preciso equilibrio delle masse, la "crudezza" dell’evento è superata, e il conflitto tra le due forme armonizzato.
    Quest’opera diventa allora immagine sublimata della nostra fisicità e trasmette la sensazione di un elemento tagliente che trapassa le nostre viscere, facendoci rivivere la stessa forza lacerante dell’amore o della sofferenza: emozioni che penetrano nella "carne", vera immanente essenza del nostro essere.
    Eppure questa sofferenza viene paradossalmente desiderata, (il titolo è amami ancora...) in una sorta di compiacimento per un sentimento in fondo desiderabile, perché in esso ci sentiamo davvero vivi. Compiacimento che rivela un distacco, lo stesso forse con cui Aldo Pallaro controlla la materia senza ridurla a fredda astrazione e al tempo stesso senza cedere alle sue lusinghe. Estremo controllo ed estrema vitalità fisica e morale.
  • Opera: Da... il silenzio di Dio

    Carlo Michielin
    Parole in croce – In questo segno perdersi. “Cristo proteggiti”
    Due assi: una croce. Dritta l’orizzontale, nella sua essenza di tempo finito e di terra. La verticale, piegata nella direzione di cielo non più dato e di ascesa deviata. Forse più dal vento della banalità che dalla negazione. La furia della idiozia ha spazzato via il Corpo. Tragedia della nostra cultura. Prima vilipeso, ora rimosso. Fatto sparire dalla scena pubblica. Corpo osceno. Uno straccio ne testimonia pudiche umane necessità. Resta, solo, il Segno. Assoluto che mette in croce a noi. Simbolo svuotato senza tangibili rinvii. Il tragico che si manifesta. Cura e pietas impossibili senza il corpo vile. Il mistero centrale della resurrezione-salvezza non può più inverarsi. In hoc signo vinces nel dna della storia occidentale. Simulacro dato in testa agli infedeli. Brandito dai politici dell’identità della porta accanto, forse. Posato sui seni di signore e presentatrici tv-fattucchiere o sui petti villosi di uomini tutti d’oro. Portato via o scappato, traditi o liberati: tu non ci sei. Vedi? Sono passato al tu per la tua invadenza! Perché non ci hai abbandonato?
    Più forte della presenza, l’assenza. Questo posto vacante urla. S-figurato, stai dentro ad altre figure. Clandestino mai in regola. Ebreo-Palestinese. Inciampi. Zoppichi nello scandalo tuo e in quello del mondo. Sconosciuto compagno di nuove Emmaus. Paradosso di spada e tenerezze non trattenute. Erri o erra chi non mostrandoti ti espone più nudo allo sguardo? Che domande di Altro/Infinito chiedi che emergano per poter ri-figurarti? Se ho capito bene, tu vuoi che siamo noi a riapparire a te. Nudi. Uomini solo. E soli di solitudine e di luce. Nell’atto di squarciare il velo della realtà reale: nel dire e nel dirsi. Non verità. Autenticità precarie e intensità vulnerabili di corpi come il tuo. Nelle nostre storie.
    Forza del mettere in arte. Religiosa, sacra, mistica, laica o blasfema. Fuori asse e dai luoghi deputati, al di là del personale autorizzato o di parole consentite. Semplicemente agli in-croci.
  • Badoere 2005

    Carlo Michielin
    Sei passeggiate (più una) nei boschi scultorei di Aldo Pallaro.
    “Ci sono due modi per passeggiare in un bosco.
    Nel primo modo ci si muove per tentare una o molte strade (per uscirne al più presto, o per riuscire a raggiungere la casa della nonna o di Pollicino o di Hänsel e Gretel); nel secondo modo ci si muove per capire C O M E sia fatto il bosco e perché certi sentieri sono accessibili ed altri no”. Sento l’Eco, caro Aldo,e , nel tuo lavoro, spazio e tempo fatti vuoti, riscavati per me visitatore flaneur, in cammino verso un Altrove che si dà perché cercato. Il tuo è un invito al viaggio tra appaesamenti e spaesamenti di stazione in stazione, in cui mi obblighi:
    a sostare - fermarmi dalla mia corsa e procedere per sottrazione come tu operi sulla materia; e riaprire la parola callosa;
    a riaprirmi - all’Ombra che viene a galla e che mette a nudo le storie delle mie età e non solo; trasparenze impensate e consonanze finora negate;
    a reggere lo sguardo - alle diversità che mi interrogano con occhi penetranti in una pluralità come te;
    ad addomesticarmi - ridurre le distanze non solo con il lupo, ma con tutti gli animali-fantasma, quel bestiario che tu trasformi in fantasie infantili e immaginari;
    a stupirmi - gratificarmi di cogliere le epifanie, motivo per cui sono nato: sorprese e doni non cercati;
    a togliere le àncore - e a circumnavigare senza mappe e seguire ad occhio nudo le stelle diversa-mente; insomma a s-chiodarmi;
    e per ultimo e con disorientamento a perdermi - per ritrovarmi in quell’Altrove, rimisurando con gambe tornite la geometria del mondo e lustrandomi gli occhi a tanto possibile, a portata di mano.

    ...ma Cristo, Aldo, dove sei?..., dove siete, anzi quanti siete?
    Presso l’azzeruolo dietro casa, lungo la riva del fosso, ad ascoltare le voci delle cose? o come mi risponderebbero i Vangeli Apocrifi “Spezza il legno e mi ritrovi nell’alburno”?
    Beh, adesso mi ci sono più abituato a cercarti e a cercarvi anche là.
  • Opera: Geometrie del silenzio

    Maria Antonietta Zancan
    ...uno spettacolare prisma inclinato, enigmatico, insieme chiuso e spalancato, protettivo nella spirale,
    aggressivo nell'esplosione divergente di luci...
  • Asiago 2002

    Gabriella Niero
    Una tavola apparecchiata, delle sedie, un libro con degli occhiali e altri oggetti quotidiani sparsi nel consueto disordine. All'apparenza un normale ambiente di casa. Nella realtà una scala dimensionale enorme, circa due metri di altezza e profondità. "Qui mi sono ritrovato" afferma ironicamente Aldo Pallaro mentre io mi sento smarrita dalla grandezza smisurata della sua affascinante scultura iperrealista . Superato il primo spettacolare impatto capisco che oltre il virtuosismo tecnico c'è un'amara riflessione sulle difficoltà oggettive che l'uomo crea intorno a sè in uno spazio che invece dovrebbe essere vissuto da tutti. Il punto centrale del percorso si fa più chiaro. Ciò che Pallaro esprime è il complesso rapporto tra uomo-ambiente e uomo-natura talvolta disorientante e non privo di ostacoli - vedi la grande "scultura per adulti" dedicata agli spazi quotidiani - oppure severamente controllato dall'ambizione e dal progresso - la serie delle nature morte geneticamente modificate - o reinventato arbitrariamente dall'autore come i legni flessibili privati dei nerbo vitale e forzati in nuove morfologie.
    Oltre al riferimento contenutistico nell'arte di Aldo Pallaro colpisce l'assenza della descrizione didascalica a vantaggio di un apparato ideativo simbolico dove non manca l'atmosfera sarcastica. Evocando i valori più segreti  della materia, in modo da far sentire la relazione con il mondo organico, lo scultore comunica nella compostezza delle masse, nella sensibilità del particolare, nella traccia stessa del modellare, il suo modo personalissimo di vivere la realtà contemporanea. Ogni scultura è un gioco di assonanze psicologiche, di lievi sottolineature e di riferimenti che rendono i messaggi densi di allusioni.
    Infatti anche nella diversità linguistica che parte dalla descrizione e arriva al concetto, si coglie sempre la capacità di catalizzare modi espressivi distanti ma connessi a un valore generale di metafora della vita e dei comportamenti umani. Nelle nature morte geneticamente modificate l'autore entra nel vivo di una polemica attuale mettendo in discussione gli interventi dell'uomo sulla natura. Poi in un'altra fase creativa egli stesso elabora ricercate volumetrie che trasformate con il suo tocco sapiente seguono forzati movimenti ondulari, ascensionali o dilatati.
    In Aldo Pallaro il legno non è solo ricerca formale ma caratterizzazione volumetrica con cui giungere a precisi esiti comunicativi e a una poetica che, mentre si dimostra sensibile ai temi di ricerca della modernità, lancia anche uno sguardo a tutto ciò che è essenziale, arcaico, primitivo. Soprattutto nell'ultima produzione, la linea melodiosa e misurata segnata da tagli flessibili accompagna le sinuose morfologie così ogni legno scorre lieve nello spazio e rivela raffinati accenti cromatici che si riflettono nell'effetto plastico perfettamente in equilibrio tra luce ed ombra. Le sculture risultano così monumentali anche nelle dimensioni contenute, con un aspetto maestoso, idoli magici di qualche remota civiltà mutati in una presenza viva e pulsante, mutevole nello spazio e tuttavia unitaria.
    In questo percorso originale e suggestivo tutto risulta in equilibrio fra passato e presente, fra memoria storica e conoscenza delle ricerche espressive contemporanee. Seguendo questa passione l'autore giunge a soluzioni di sintesi unendo armoniosamente stile e contenuto, dato emozionale e concetto ideativo, intuizione ed elaborazione dei proprio essere.
  • Venezia 2001

    Gabriella Niero
    La figura colta nella sua forza interna, unita alle morbide tensioni organiche del legno, rappresentano per lo scultore Aldo Pallaro i motivi di un discorso plastico condotto con finezza e sobrietà entro l'ordine stilistico della purezza formale. Sottili ed elegantissime, concentrate nella tensione muscolare, le sculture si presentano lievitanti. Tutto sembra volgere verso l'alto, la posa, l'espressione, i dettagli modulati sulla materia, vibrazioni impercettibili pervase da un'idea di bellezza allusiva, sottilmente astratta. Ne deriva una poetica che tende all'essenza, alla spoglia sostanza della forma. Aldo Pallaro innalza le figure verso una dimensione pura, mira al simbolismo e raggiunge effetti che nelle tensioni emotive valorizzano il legno conservandone le venature, i nodi, il colore. Nelle sue sculture si colgono i risvolti sentimentali delle passioni umane che attraverso la levigatezza del modellato, i lineamenti armoniosi, la naturalezza delle pose diventano riflesso di una pregnante interiorità.
  • Venezia 2001

    Orfango Campigli
    ...un vero artista della scultura, espressa con maestria attraverso il legno, al quale è stato attratto da un amore viscerale. Nelle sue stupende e maestose sculture l'artista scava per entrare nell'anima del legno, sublimandolo di struggente bellezza poetica...
  • Trebaseleghe 2000

    Bruno Sartor
    I trascorsi all'Istituto d'Arte e la lunga esperienza nelle arti applicate avvicinano Aldo al fare artistico. Assiste ad un'aratura profonda e nel riemergere di radici aggrovigliate di acacia intuisce surreali figure che si avviluppano.
    Nei suoi legni, a partire dai primi anni '90, scopre il fluttuare ambiguo della materia che, calda e vitale, si lascia toccare e alla luce rivelatrice rinvia morbidi, ricurvi piani che talvolta (Madre e figlio) raggiungono lo sgomento di un'estasi barocca o di un capriccio surreale.
    Dalla fine degli anni '90, sembra voler cogliere maggiormente il reale e la figura progettando il messaggio: non più o non solamente assecondare la materia recuperandone l'intrinseco suggerimento, ma portarla a diventare strumento per comunicare messaggi anche inquietanti (Il testimone), legati al quotidiano, agli oggetti e alla figura.ed è al quotidiano che approda con l'ultima opera "Scultura per adulti" dove il capovolgersi dei rapporti proporzionali degli oggetti d'uso ci fa sentire inadeguati come aveva ben colto la Montessori quando riprogettava il mondo per i bambini.